Il mercato dei microfoni è estremamente competitive e per un produttore emergente trovare una propria nicchia può essere un’impresa difficile. Tuttavia, i microfoni Soyuz non solo sono riusciti a trovare uno spazio, ma si sono affermati come veri e propri protagonisti tra i giganti dell’industria. Negli ultimi dieci anni, si sono guadagnati una solida reputazione grazie al loro design affascinante e alle loro qualità teniche, riuscendo a combinare il meglio della tradizione produttiva sovietica con l’attenzione al design e il meticoloso controllo di qualità tipici dell’Occidente. Abbiamo incontrato i co-fondatori, David Arthur Brown e Pavel (Pasha) Bazdyrev, per parlare di come è nata questa “unione” e di dove sta portando il loro progetto…
Ciao David, è un piacere conoscerti! Da dove ci stai chiamando?
David: Attualmente mi trovo a Barcellona. Vivo a San Pietroburgo, ma il mio studio è qui. San Pietroburgo è una città straordinaria. Offre musei, balletto, musica classica, ed è il cuore del rock and roll in Russia. Molte delle più grandi band del paese sono nate proprio a San Pietroburgo, è davvero un posto fantastico.
Potreste raccontarci un po’ del vostro background musicale e di come è nata la collaborazione tra te e Pasha?
David: Tutto è iniziato con il sassofono. Ho scoperto John Coltrane e da lì è stato amore a prima vista. Ho messo da parte dei soldi lavorando in un famoso ristorante di San Francisco chiamato Hamburger Mary’s, ho comprato il mio primo sassofono e ho imparato a suonare da autodidatta. Poco dopo ho fondato il mio gruppo strumentale, i Red Clay. È stato un periodo entusiasmante, condividevo l’appartamento con Courtney Love, anche se lei ha finito per incendiarlo [ride]. Alla fine, siamo finiti a suonare con Beck, un vecchio amico con cui sono cresciuto a Koreatown. Un giorno, mi ha chiesto di accompagnarlo in tour, e così per circa due anni e mezzo abbiamo girato il mondo.
Successivamente, ho fondato la mia band, i Brazzaville. Un giorno, un certo Artemy Troitsky mi ha scritto dalla Russia. A quanto pare, aveva trovato uno dei nostri vecchi CD al Rough Trade di Londra, lo aveva portato a Mosca e aveva scritto un articolo su di noi. Ricordo che avevamo un concerto a New York e alcuni ragazzi russi sono venuti a trovarci dopo lo spettacolo per chiedere autografi. Quando ho chiesto come conoscessero i Brazzaville, ho scoperto che Troitsky è un noto critico musicale.
Perché pensate che la vostra musica abbia avuto tanto successo in Russia?
David: La nostra musica ha trovato una forte risonanza tra i russi, e poi anche in Turchia e in Cina. Sembra che sia particolarmente apprezzata in paesi con una storia controversa in materia di diritti civili: per loro, i Brazzaville sono stati un vero successo!
Come ti sei avvicinato al mondo dei microfoni?
David: Negli anni Novanta, a Los Angeles, si potevano acquistare gli Oktava MK 012, i primi microfoni a condensatore di buona qualità che non costassero una fortuna. Anni dopo, mentre ero in tour in Russia, mi sono chiesto: “Chissà dov’è la fabbrica di Oktava?”. Ho fatto una ricerca su Google e ho scoperto che si trovava a Tula. Ho pensato: “Wow, che nome affascinante”. Una settimana dopo, durante uno spettacolo da solista nel sud della Russia, un ragazzo (Pasha) si è avvicinato a me dopo lo spettacolo e mi ha detto: “Ehi, come va? Sono un tuo fan, prenderesti mai in considerazione l’idea di fare un concerto da solista nella mia città?”. Gli ho chiesto: “Dove?”, e lui ha risposto: “A Tula”. Non potevo crederci!
Pasha: Ho chiesto al suo manager e lui ha detto: “Sì, ma solo se potete organizzare una visita alla fabbrica di Oktava”. All’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse Oktava. Non sapevo nulla di microfoni. Ho chiamato Oktava e ho detto: “Ehi, voglio portare questi musicisti americani a visitare la vostra fabbrica”, ma la cosa non è stata accolta molto bene. Oktava era anche fortemente coinvolta nella produzione militare, quindi era necessario il permesso dell’FSB. Alla fine, hanno acconsentito a un tour, ma solo di una parte della fabbrica. Mentre stavamo tornando in macchina dopo la visita, mi sono rivolto a David e gli ho detto: “Forse dovremmo provare ad aiutarli a rientrare nel mercato americano?”.
David: All’inizio ho pensato: “I microfoni Oktava erano popolari perché, all’epoca, erano l’unica opzione disponibile”, ma ora il mercato è cambiato. Tuttavia, riflettendoci meglio, mi sono reso conto che forse c’era del vero in quell’idea. In Russia, ancora oggi, seguono processi produttivi simili a quelli che Neumann usava negli anni ’50. Così mi è venuto in mente: “E se qualcuno riuscisse a creare una Lexus basata sulla loro Toyota [Oktava]?”. L’idea era di realizzare un microfono a condensatore della stessa qualità di un U 47 o un U 67 vintage, ma con una propria personalità distintiva.
Pasha: Inizialmente, l’idea era di produrre microfoni presso Oktava, basandoci sulle nostre idee e sui nostri standard di qualità. Tuttavia, col tempo abbiamo capito che l’unico modo per realizzare il nostro progetto era creare una nostra struttura e proseguire per conto nostro. Sebbene il concetto fosse valido, ci trovavamo di fronte a un mercato minuscolo, incredibilmente saturo e dove molti marchi avevano già provato e fallito. Era una sfida davvero spaventosa.
C’è stato un momento chiave in cui avete capito che eravate sulla strada giusta?
David: Avevamo appena costruito quattro prototipi del nostro microfono di punta, il modello 017 valvolare, e li avevamo inviati a diverse persone. Tra queste c’era Nigel Godrich, che conoscevo dai tempi di Beck. Non ho avuto sue notizie per circa due mesi, finché un giorno ho aperto il computer e ho trovato una lunga email di Nigel. Diceva: “Ascolta, amico, ho appena testato il tuo microfono confrontandolo con il mio preferito in assoluto, il mio U 47 di fiducia. Ne possiedo circa 15, ma questo è quello che uso ogni volta. Non posso dire che il tuo microfono mi sia piaciuto meno del mio preferito al mondo”. Alla fine, ne ha ordinati un paio.
Pasha: Avevo il visto per il Regno Unito, così ho impacchettato i due microfoni e sono volato a Londra. Durante il trasporto, però, le scatole si erano danneggiate, quindi ho passato metà della notte seduto davanti alla porta del mio ostello cercando di ripararle con della colla. La gente pensava che fossi pazzo. Alla fine, sono riuscito a sistemarle e ho consegnato i due microfoni al suo assistente la mattina dopo, insieme a una bottiglia di vodka. Nigel mi ha risposto dicendo che erano fantastici. Li sta ancora usando!
Sicuramente non c’è riconoscimento migliore!
Pasha: Esatto, c’è stato un altro momento in cui le cose non andavano bene: i soldi erano pochi e nessuno comprava niente. Poi ho ricevuto un’email da Michael Marens che diceva: “Ragazzi, guardate questo!”. Apro il link e vedo Chris Martin dei Coldplay che canta con il nostro 017 valvolare al The Woodshed a Malibu.
David: Sì, ricordo che ero all’AES quando un tizio, Rich Gibbs, è venuto al nostro stand. Ha detto: “Wow, è un microfono bellissimo!” L’ha provato, gli è piaciuto molto e mi ha detto: “Dovreste metterne uno nel mio studio – ecco la lista dei miei clienti…”. Si trattava di artisti come i Coldplay, Barbra Streisand, insomma, grandi nomi. Così ne abbiamo messo uno in studio, ma ovviamente nessuno aveva mai sentito parlare di noi, quindi nessuno voleva nemmeno provarlo. I Coldplay usavano un U 47 preso in prestito, che dovevano restituire. Rick Simpson, il loro produttore, organizzò una sorta di “shootout” per trovare un nuovo microfono per registrare le voci del disco. Rich si è girato e ha detto: “Ok, ok, possiamo farlo qui, a patto che il Soyuz faccia parte della prova!”. Così hanno portato tutti questi microfoni, Neumann e Telefunken, sia vintage che nuovi, e hanno fatto una prova al buio… e abbiamo vinto noi. Alla fine, ne hanno comprati quattro, credo.
“The Soyuz was the clear winner in every parameter. That tube warmth, but with a modern clarity not found in a vintage mic. It has, for lack of a better term, a fantastic personality – plus it’s super hot-looking too.” – Richard Gibbs – Woodshed Recording
E per quanto riguarda lo 013 FET? Molti lo paragonano spesso ai KM84 originali. Pensi che sia un paragone corretto?
David: È un microfono unico nel suo genere. Ma mentre stavamo sviluppando lo 013 FET, sentivo spesso dire che i KM84 erano eccellenti, a differenza dei KM184. Così ho pensato: “Ragazzi, voglio realizzare uno 013 FET con un trasformatore interno – possiamo farlo?”. Ha un carattere diverso, ma ci sono certamente delle somiglianze con i Neumann d’epoca.
Pasha: La qualità del suono dipende tanto dalla tensione della capsula quanto dal trasformatore. La tensione della capsula e lo spessore del diaframma sono fondamentali. Se è troppo sottile, il suono diventa “poppy” e con un low end eccessivo; se è troppo spesso, il suono non si estende e risulta sottile e stridente. Bisogna trovare il giusto equilibrio.
Ultimamente avete lanciato molti nuovi ed entusiasmanti prodotti: il microfono Ambisonic e il 1973, che ha avuto un grande successo. Qual è stata l’idea alla base di questi prodotti?
Pasha: Quando è iniziata la situazione militare in Russia, molti marchi occidentali hanno abbandonato il mercato. Non si trovavano più AKG 414, TLM 102 o 103. Ho parlato con molti dei nostri rivenditori e clienti riguardo all’idea di introdurre sul mercato un microfono più economico, con la stessa capsula Soyuz, ma in formato più accessibile. Ho pensato che ci fosse un vuoto nel mercato che potevamo colmare, così ho chiamato David per discutere l’idea, e lui ha progettato molto rapidamente un microfono.
David: Quasi sempre, ogni volta che invio un nuovo progetto a Pasha e Vladimir, ricevo una risposta che dice che è impossibile farlo funzionare [ride]. Ma in questo caso, Vlad ha progettato un risonatore da posizionare davanti alla capsula che eliminava la risonanza problematica di cui era preoccupato. Così, non solo è diventato possibile, ma ha avuto anche il vantaggio di fornire un livello di protezione contro le plosive che di solito non si ha con un microfono a condensatore. È un microfono incredibilmente robusto – Pasha ha persino guidato la sua Tesla sopra uno di questi per testarlo!
Possiamo parlare rapidamente del preamplificatore Lakeside?
David: Potrei parlare del pre tutto il giorno… È probabilmente il prodotto più interessante che abbiamo realizzato negli ultimi anni. Non sei d’accordo, Pasha?
Pasha: Sì, è completamente nuovo e ha un suono fantastico. È stato progettato in modo eccezionale da una persona molto competente qui in Russia. Ha un approccio pratico e old-school al design e all’ingegneria, quindi abbiamo preso la sua tecnologia e l’abbiamo adattata per il mercato globale.
David: Ci piace creare cose semplici, robuste e di alta qualità. L’idea alla base del Lakeside era di realizzare un preamplificatore microfonico che svolgesse il suo compito in modo eccellente. Il design per noi è fondamentale: cerco sempre di inserire la minima quantità di iconografia, interruttori e manopole necessarie per fare il lavoro. Anche sul Lakeside, alcuni valori sono stati omessi nel filtro passa-alto perché non mi piace l’estetica con troppo testo. Credo che le persone debbano affidarsi alle proprie orecchie.
Pensate di sviluppare un numero maggiore outboard in futuro?
David: Oh, assolutamente. Senza rivelare troppo, abbiamo in cantiere alcuni progetti davvero interessanti…
Ha un prodotto Soyuz preferito, o è come scegliere il proprio figlio preferito?
David: Sì, sarebbe davvero difficile. Non credo che potrei sceglierne uno solo…
Pasha: Personalmente adoro il Bomblet. La mia voce ha molte sibilanti, quindi si adatta perfettamente. Mi piace molto il fatto che sia un po’ più scuro e morbido. Inoltre, apprezzo il design elegante, minimalista e la finitura argentata.
Scrivi e registri ancora musica, David? Hai qualche altra unità a cui sei particolarmente affezionato, o qualche contemporaneo nel campo dell’audio professionale che ammiri?
David: Oh, sì, certo! Ho un vecchio Avalon 737 che ho comprato nel 2000 e funziona ancora benissimo. Ho cambiato le valvole solo una volta, credo. Lo adoro. Ho molto rispetto per Soma, perché si sforzano sempre di fare cose innovative e affascinanti. Non critico chi fa copie di apparecchiature vintage, c’è spazio anche per quello, ma non è particolarmente creativo. Ad esempio, non credo di piacere molto a Teenage Engineering perché non amano che il microfono Tula venga usato con il loro OP-1, ma penso che progettino apparecchiature fantastiche. Anche Manley produce ottimi prodotti, come il Voxbox e il Massive Passive, così come i loro microfoni.
Questa “unione” tra Oriente e Occidente è non solo unica, ma funziona anche molto bene. Perché, secondo voi, è così, e come è cambiata la narrazione alla luce dei recenti avvenimenti?
Pasha: È difficile per me giudicare perché sono un russo che vive in Russia. Abbiamo sempre puntato molto sull’identità “Handmade in Russia”, ma recentemente abbiamo dovuto distanziarci da questa immagine perché la parola “Russia” suscita reazioni forti. È triste per me che abbiamo dovuto perdere un aspetto così intrinseco della nostra identità. Per noi era importante che la gente capisse che siamo persone normali che fanno il loro lavoro, senza alcuna affiliazione con ciò che sta succedendo. L’ironia è che stiamo sottraendo persone alle fabbriche militari per farle lavorare a qualcosa di positivo. La parola “Soyuz” in russo significa letteralmente “Unione” e siamo la prova vivente che questi due mondi possono ancora collaborare con grandi risultati.
David: Credo sia fondamentale, oggi più che mai, che la gente capisca che le persone sono persone, indipendentemente da dove vivono. Tutti vogliono le stesse cose: che i loro figli abbiano una vita migliore, che vivano in pace. Bisogna separare le persone dalla politica. Io suono in Russia, in Cina e in Turchia. E quando la gente mi chiede: “Come fai a suonare lì?”, rispondo: “Se dovessi essere d’accordo con le politiche di ogni Paese in cui suono, non suonerei da nessuna parte – nemmeno in America!”. Alla fine, le persone hanno bisogno di musica e di storie che offrano una tregua dalle preoccupazioni quotidiane.
Anche prima che tutto questo iniziasse, la Russia e l’America non erano esattamente amiche per la pelle. Quindi per me, Soyuz continua a essere un grande esempio di due culture e due Paesi che raramente collaborano per fare qualcosa di bello e armonioso insieme. Penso che sia un esempio positivo, e oggi ne abbiamo più che mai bisogno.